Once in a lifetime: Michael Chabon

Il 24 maggio 1963 nasce a Washington Michael Chabon, di professione scrittore, sceneggiatore e saggista. In un mondo abitato da agguerrite pattuglie di aspiranti scrittori, giovani promesse ed astri nascenti emergere è quasi impossibile. Per farlo servono attributi rari e preziosi, come buone idee, talento, originalità e un pizzico di buona sorte, tutte cose difficili da mettere d’accordo e tenere assieme. Perché le idee spesso difettano e, quando fanno capolino, faticano più del lecito a tollerare il talento. Senza considerare che il fato, a giudicare dai risultati, si dimostra sempre ingrato, riservando ad altri le proprie cure e attenzioni. Rintracciare tutti questi ingredienti in qualche giovane scrittore rimane così una chimera, il sogno di ogni agente letterario nonché l’interessato auspicio di noi piccoli e avidi lettori.

Struttura e tensione

Michael Chabon questi ingredienti li ha messi assieme sin dall’esordio. A leggere i suoi primi lavori ci si rende conto di quanto talento serva per fare questo strano e grande mestiere e di quanto duri è necessario essere per avvicinarsi alla temibile pagina bianca. Non tanto per il tortuoso processo creativo e le sue singolari derive, quanto piuttosto per quella continua e indispensabile opera di sintesi e sottrazione che dipana le matasse più ingarbugliate lasciando finalmente intravvedere le traiettorie buone da seguire. Perché, poi, scrivere significa abbandonare il superfluo, incidere parole e grammatiche, far sanguinare verbi e avverbi senza lasciarsi mai andare a vezzi e rimbalzi. Perché solo così si riesce a dare struttura e tensione alle emozioni e alle storie di cui ci nutriamo.

Idee e pezzi di futuro

Chabon è un genio della scrittura. Arrivò all’esordio grazie al suo professore che invio la tesi del master universitario di scrittura creativa a un paio di agenti per averne una prima valutazione. Quello scritto divenne “I misteri di Pittsburg”, uno dei libri di culto più frequentati della fine degli anni Ottanta, una sorta di omaggio al romanzo di formazione e a due capisaldi del genere come Mark Twain e J.D. Salinger. Tutto quel successo non fu facile da gestire. Michael divenne di colpo una celebrità salendo entusiasticamente sulla solita giostra mediatica che, come al solito, brucia speranze, idee e pensieri. Così, anche quel futuro promesso, radioso ed invidiato di Michael finì fatalmente per incagliarsi. “Fountain City” avrebbe dovuto essere il seguito ma non arrivò mai ad esserlo. Michael impiegò cinque lunghi anni a sommare e levare e alla fine il risultato non fu quello atteso. A scrivere, come a pubblicare, del resto, servono nervi saldi, professionalità e coraggio. Anche assecondando il sano istinto di cestinare tutto senza rimorsi o pene, solo perché si è intuito che il futuro sarebbe andato da un’altra parte. Fu così che “Fountain City” non vide mai la luce, ma quelle trame tornarono utili a Michael.

“Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay”

Chabon accantonò quell’ambizioso e sudato progetto per fare spazio al suo secondo atteso romanzo, il suo secondo best seller, “Wonder Boy”, che batteva invece sentieri del tutto diversi e si preparava alla resa dei conti. Perché scrivere implica affrontare in campo aperto tutti i propri demoni, senza risparmiare mai nessuno, nemmeno se stessi. Michael riprese parte del precedente e incompiuto lavoro e lo mise al servizio di un plot diverso, un vortice di storie potenti e evocative che racchiudevano tutti gli ingredienti del grande romanzo d’avventura, la fuga e l’escapismo, l’elemento fantastico, le magie e i misteri della mitteleuropa, le ombre del Golem e del grande Houdini, il profilo di Manhattan, il Novecento, i nazisti, la seconda guerra mondiale, la kabbalah e i prestigiatori, il mondo dell’editoria e dei primi comics. Era un quadro teso e fremente come l’esistenza. Era una sublime metafora della maturità in un mondo di eterni adolescenti. Era un’esuberante incedere di amicizia, odio, sesso e sentimenti. Era la ruota dell’immancabile cinico destino. Era un grande libro. Chabon mescolò mirabilmente il tutto e da quell’impasto plasmò un potente e assoluto capolavoro come “Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay”. Quel libro gli valse non solo il Premio Pulitzer ma anche l’incondizionato appoggio di legioni di lettori, stregati dal mondo che era riuscito a raccontare. Tra quelle pagine Chabon convocò personaggi senza tempo e una New York vibrante e vivida come e più di un set cinematografico.

Da Jules Verne a Meyrink

Chabon si mostrò un fuoriclasse per la capacità di racchiudere quell’esuberante turbine creativo in un meccanismo narrativo che guardava al passato e a tutti i grandi maestri del genere fantastico. Quel libro citava, infatti, Jules Verne, Salgari, H.G. Wells e il sommo Edgar Allan Poe, passando per Meyrink e tutta l’epopea del cinema espressionista. A distanza ormai di diversi anni, quel libro rimane ancora straordinariamente vitale. A lui il suo autore deve la via che ha poi percorso nel decennio seguente. Perché in quella brillante scia arrivarono poi anche altre piccole grandi gemme come “Soluzione Finale”, “Il sindacato dei poliziotti yiddish”, “Telegraph Avenue”, brillante reboot di “Alta fedeltà” in salsa jazz, e il recente e affascinante “Mappe e leggende”. Michael non si è dimostrato solo un grande scrittore, dotato di grandi idee, muscoli, tecnica, talento e capacità ma anche un ironico e colto narratore, un viaggiatore leggero e incantato, elegante e sensibile. Perché Chabon appartiene a quella ristretta cerchia di grandi a cui serve ben poco per orientarsi, giusto un foglio di carta e una penna. E’ proprio quell’inchiostro a trasformare l’ordinario in un’incredibile magia in grado di sorprenderci sempre sino a commuoverci e appassionarci.