Once in a lifetime: Gaetano Scirea

Il 25 maggio 1953 nasce a Cernusco sul Naviglio Gaetano Scirea, di professione calciatore. Scirea era un uomo gentile e sensibile ma per niente fragile. I natali e la vita gli avevano regalato una forza solida e silenziosa che lo faceva emergere con sicurezza da ogni situazione, anche da quelle più critiche e difficili, da ogni rovescio come dalle più furibonde mischie in area di rigore. Gaetano era un fuoriclasse, un giocatore dotato non solo di grande stile ma anche di senso tattico e geometrico. Era grazie a queste attitudini che sapeva Interpretare il suo straordinario ruolo con classe, sicurezza e dinamicità.

Un ruolo affascinante e delicato

Chi ha avuto la fortuna di giocare da “libero” negli anni ruggenti del catenaccio all’italiana sa perfettamente quanto fosse affascinante quel ruolo. Perché, al di là della necessaria rapidità nell’anticipare le punte avversarie e della ferma abilità nel contrasto da “ultimo uomo”, lasciava ad ogni interprete la possibilità di variare a piacimento lo spartito. Per farlo servivano, però, testa e piedi buoni, visione di gioco e dinamismo, forza e velocità. In quel calcio roccioso quella zona del campo rimaneva libera da marcature e consegne a patto però che le situazioni pericolose venissero puntualmente sbrogliate. Capitava così che, nel perimetro di quel patto, ognuno trovasse modo e spazio per una propria interpretazione, per aggiungere e calibrare con discrezione singolari abilità. Dal “libero” non dipendevano solo le chiamate difensive ma, sempre più spesso, anche l’impostazione del contropiede. Giocare da “libero” significava lavorare tra i reparti, gestendo la distribuzione del gioco come una regista occulto che, all’occorrenza, era chiamato a interrompere le trame avversarie per ispirare eleganti sortite o affidare improperi e palloni all’abbraccio di gradinate e tribune.

Il più moderno, il più completo

Di quella magica categoria, Scirea era il più moderno e completo. Sapeva compattare il pacchetto difensivo uscendo palla al piede dalla giungla di gambe degli avanti avversari per affiancare la mediana ed impostare subito l’azione offensiva. Al pari di Beckenbauer, Krol, Baresi e Tricella, Gaetano ebbe il merito di cambiare profondamente la prospettiva del suo ruolo, agevolando la transizione da moduli tattici decisamente rigidi ad altri più flessibili, dinamici e aperti. Ma, al di là degli aspetti tecnici, Scirea fu un vero campione. Silenzioso e di poche parole, in campo dirigeva con autorevolezza e carisma le operazioni. Era affidabile, costante e generoso, sempre attento, sereno, cordiale e corretto, con quel modo di fare serio, umile e composto che appartiene ai più grandi.

Libero per caso

Era cresciuto nel vivaio dell’Atalanta, quello stesso che aveva sfornato talenti del calibro di Cabrini, Fanna, Magrin e Marocchino. Aveva esordito nella massima serie sostituendo l’ex gialloblu Giancarlo Savoia. Gaetano giocò talmente bene quella manciata di partite che a Bergamo si chiesero per quale motivo Castagner non  lo schierasse a centrocampo, magari come mezzala, in un ruolo che gli era certamente più confacente. Ma Scirea, per diversi e imperscrutabili motivi, rimase invece a dirigere la difesa ed anche l’allenatore seguente, il famoso mago Herrera, preferì schierarlo lì in fondo, tra stopper e portiere. In quella posizione, Gaetano rimase per tutta la carriera che fu lunga e piena di grandissime soddisfazioni. Perché Scirea con la maglia della Juventus conquistò sette titoli nazionali, tutti i trofei continentali, una Coppa Intercontinentale a spese dell’Argentinos Juniors e il mitico Mondiale spagnolo. Dopo l’abbandono dell’attività, durata ben settecento partite, rimase a Torino, in società, a fare il vice di Zoff. Boniperti stravede per quel ragazzo serio e preparato. Per Gaetano si pensa infatti ad incarichi preziosi e delicati. Per intanto la società ne mette a frutto competenza e preparazione. Il 3 settembre 1989 la dirigenza bianconera lo manda in Polonia ad osservare i prossimi rivali di coppa del Gornik Zabrze, un turno che sulla carta si presenta piuttosto agevole. Purtroppo un destino ingrato lo attende in agguato sulla strada del ritorno, quella che lo doveva riportare all’aeroporto di Varsavia e, quindi, a casa, da moglie e figlio. La sua auto viene violentemente tamponata e prende fuoco. Per lui ed altri passeggeri non c’è niente da fare. Quel maledetto e tragico rogo si porta via uno dei giocatori più stimati ed applauditi di sempre, un simbolo dentro e fuori il campo. “Gai aveva qualità fuori dal comune”, racconta Boniperti. “Li riconosci subito i giocatori che hanno qualcosa in più: li vedi da come si muovono in campo e da come leggono il gioco un secondo prima degli altri. Se poi sono dotati di spessore umano e pulizia morale hai davanti agli occhi un fuoriclasse non solo sul prato ma anche nella vita. E Scirea lo era.”