Once in a lifetime: Luigi Meneghello

Il 26 giugno 2007 muore a Thiene Luigi Meneghello, maestro di vita, lettere e parole. Meneghello è stato tante cose. Partigiano, giovane scrittore e, quindi, stimato cultore accademico nonché attento studioso dell’intimo legame che corre tra storie, terra, lingua e parola. Di quel confine spesso fragile e sfumato Meneghello è rimasto per tutta la vita un entusiasta custode, una sorta di saggio guardiano che ha resistito alla tentazione dell’isolamento in qualche torre eburnea preferendo, invece, il confronto con una realtà talvolta complicata e in continuo mutamento. Con il presente, il Maestro ha sempre fatto i conti, anche quando si è trattato di abbandonare le amate terre d’origine per attraversare la Manica alla volta dell’Inghilterra.

Scrittore e eminente studioso

Oltre a firmare alcune delle più preziose gemme del Novecento italiano, Meneghello ha, infatti, istituito e diretto per molti anni il Dipartimento di Studi Italiani dell’Università di Reading, traducendo testi di filosofia e di storia per l’amico editore Neri Pozza e raccontando in diretta radiofonica alla BBC le opere di Petrarca, Belli, Tasso e Piovene. Da fine e colto divulgatore Meneghello si è misurato con le parole e il linguaggio, gettando ponti culturali tra mondi che si sono rivelati assai più vicini di quanto si potesse sospettare. Con lo stesso spirito e lo stesso approccio con cui aveva sdoganato il suo Veneto, le radici e le credenze popolari, Meneghello ha offerto una singolare veste dialettale ad alcuni grandi capolavori della drammaturgia britannica, come, ad esempio, le opere di William Shakespeare che, tradotte per l’occasione in stretto vicentino nelle pagine dei suoi “Trapianti”, hanno recuperato tutto il loro originario vigore lirico e poetico. Quelle opere immortali, legate a stagioni lontane ma pur sempre attuali, geometricamente progettate per ridere e piangere, per riflettere e partecipare, ritornavano così a prendere vita, scendendo dal palco della rappresentazione per calarsi nel quotidiano divenire avvicinandosi alle persone e ai loro istinti, ai luoghi e alla vita di tutti i giorni.

Un’estrema cura per la parola

Quelle traduzioni raccontano non solo la viscerale passione per quelle pagine immortali ma anche l’estrema e paziente cura rivolta alla parola, sempre accuratamente scelta, scavata, cesellata, ponderata e, infine, impiegata con l’intento di custodire e conservare le chiavi della percezione e del sentire. Fu proprio quel singolare confronto tra l’alto e il basso, il colto e il popolare, tra l’Inghilterra Elisabettiana e la versatile parlata della sua terra ad indicargli la strada futura.

Un viaggio culturale e antropologico

La sua scrittura è frutto di approfondita e attenta analisi. Meneghello ricorre al dialetto per indagare le dinamiche sociali della sua provincia. Il suo è un viaggio culturale e antropologico in un mondo rurale sull’orlo dell’estinzione. Attraverso le storie, anche d’accezione autobiografica, narrate abilmente in punta di penna, Meneghello mette in scena il dolce e l’amaro di caratteri e pulsioni senza tempo, insegue discretamente le curve sfuggenti di personaggi poetici e letterari alle prese con un vortice di circostanze che si succedono nel sapiente rincorrersi di diversi registri e vocabolari. I suoi primi romanzi non raccontano solamente la storia della propria terra e dei primi affetti, le parole dimenticate e gli anni dell’infanzia, ma esplorano il più complessivo senso dell’esistenza e il suo inesorabile scorrere. Tra quelle righe il Maestro rappresenta e mette in scena la vita, i progetti, le speranze, la pietà, il disincanto dell’età avanzata e il furore degli anni giovanili, indagandone la loro sfuggente ed intima essenza.

Uno spirito libero, ironico e incalzante

Per tutto il viaggio Meneghello è sempre rimasto uno spirito libero, ironico ed autentico, un narratore di razza e cifra stilistica ma, anche e soprattutto, un’anima del tutto anticonvenzionale. Il suo lucido e incalzante lirismo merita un capitolo a parte nella letteratura del contemporaneo e suona ancora oggi come la coscienza critica di un Veneto che si è arreso troppo frettolosamente a una discutibile modernità. Diversi anni fa ho avuto il raro privilegio di sentirlo raccontare di persona, con quel pacato garbo che finiva spesso in modestia, le sue “sudate” carte, l’ho visto commuoversi per le attestazioni di stima di attenti e affezionati lettori, l’ho visto entusiasmarsi come un bambino nell’inseguire i fantasmi di storie passate che non aveva ancora trovato tempo e modo di recuperare affidandole in eredità a una pagina bianca, nero su bianco, parola dopo parola, punto su punto. Tra tante, quella rimase una grande e indimenticabile lezione. “Tra le qualità che mi paiono ingredienti essenziali delle buone scritture letterarie e specificamente di quelle narrative, spicca quella che in prima approssimazione chiamerei l’ironia: in pratica la facoltà di spostare (o anche capovolgere) il punto di vista di un testo, con l’intento di contrastare la pomposità, la pedanteria, la retorica, e specialmente la presunzione, il dogmatismo, la saccenteria, la sicumera che insidiano noi tutti, e rendono alcuni di noi così antipatici”