Once in a lifetime: Antoni Ramallets

Il 1° luglio 1924 nasce a Barcellona Antoni Ramallets, portiere di professione. Tutta la sua gioventù era trascorsa all’ombra di una lunga teoria di grandi numeri uno. Antoni veniva da Vila de Grecia, dal cuore pulsante di Barcellona, dove aveva sollevato polvere tra i cortili e le piccole piazzette del barrio alla stabile ricerca di un muro buono dove incorniciare due pali e una traversa. Quel perimetro magico chiuso da linee tracciate con il gesso o da maglioni e cartelle era la sua casa. Perché ad accomodarsi in quella porta immaginaria toccava sempre e solo a lui, a “el gordito”, il grasso Antoni, che con quel fisico mai e poi mai avrebbe potuto fare l’attaccante.

El gordito

All’epoca la Primera Division era popolata da autentiche leggende, da giocatori come Velasco, Eizaguirre, Carmelo e Lezama, portieri leggendari le cui imprese filtravano con difficoltà dai cinegiornali di regime degli anni Quaranta. Come molti aspiranti numeri uno di quegli anni, Antoni era cresciuto all’ombra delle loro gesta, studiando attentamente le uscite più spericolate o i tuffi più plastici. Tanto applicazione, alla fine, era tornata utile e Antoni, smarcatosi da qualche chilo di troppo, aveva cominciato ad attirare l’attenzione di squadre e osservatori. Tra le tante possibili porte, il destino amico spalancò quella del Barcellona. Antoni si rivelò sin da subito portiere agile e rapido. Possedeva una dote che è da sempre un valore aggiunto per chi si accomoda tra i pali: il giovane Ramallets aveva stile. Fu anche grazie a questo e all’indiscussa efficacia dei suoi interventi che riuscì a sbaragliare facilmente la concorrenza arrivando sino alla prima squadra. Ma in quel ruggente Barcellona levare la maglia al titolare Velasco era pressochè impossibile perchè il grande Juan Zambudio, per evitare ogni rischio, con quella magica divisa finiva anche per andarci a letto. Alla fine Antoni, pur di giocare, scelse così di fare chilometri andando in prestito a Valladolid, a fare la guardia alla porta del Real.

Un provvidenziale incidente

Ma, come tutte le storie più belle, anche quella di Antoni trova la svolta in un evento singolare e inatteso che finisce per cambiare radicalmente le traiettorie dei protagonisti. Durante una partita di campionato, in un’uscita più temeraria del solito, Velasco rimedia, infatti, un brutto colpo in volto che gli provoca il distacco della retina. Juan Zambudio dovrà purtroppo rimanere a lungo lontano dai campi di gioco e i blaugrana richiamano quindi, in fretta e furia, il giovane e promettente Antoni che da lì in avanti giocherà talmente bene da rubare definitivamente il posto all’esperto collega.

Il guardiano

Ramallets rimarrà a guardia alla rete catalana dal 1949 sino al 1962 scendendo in campo per 288 volte nella sola Primera Divisione. Il suo stile piaceva alle folle. In quello squadrone che schierava stelle di prima grandezza come Segarra, Kubala, Kocsis, Evaristo, Suárez e Czibor, Antoni recitava il ruolo dello spericolato ultimo uomo. Come molti portieri di quella generazione, anche Antoni era vanitoso. Gli piaceva essere sempre in ordine, come una star del cinema. Era talmente impeccabile che i maligni mettevano in giro strane voci, ad esempio che, dietro i pali, nascondesse sempre specchio e pettine per sistemarsi i capelli dopo ogni parata. Con il Barca Ramallets vince praticamente tutto. In bacheca finiscono ben 6 titoli nazionali, 4 Coppe del Re e 1 Coppa delle Fiere. Il suo unico vero rimpianto rimane la Coppa dei Campioni che sfugge per la solita “mala suerte” e un pizzico di fatale discontinuità. Ma, per fortuna, a rincuorarlo c’è l’esaltante avventura con le “Furie Rosse”.

Il “Gato del Maracanã”

Le strepitose parate gli aprono le porte della nazionale in occasione dei mondiali brasiliani del 1950. La partita disputata contro i maestri inglesi è la più incredibile. Antoni para anche l’impossibile. Per il coraggio e l’elasticità delle uscite, si guadagna il soprannome di “Gato del Maracanã”. La colpa o, forse meglio, il merito sono di Matìas Prats che ai microfoni della radio nazionale commenta in diretta le funamboliche uscite. Il cronista, a un certo punto, rapito dall’ennesima prodezza, si lascia prendere la mano evocando le imprese e l’agilità di un gatto con le ali. Perché Antoni in campo fa davvero cose strabilianti alzandosi più volte in volo, verso il cielo, e fermando la palla addirittura con il petto all’altezza della traversa. Per i giornali iberici Ramallets è la reincarnazione di Zamora. Interpellato al riguardo, la funambolica leggenda confessa di esserci rimasto male non tanto per gli indiscussi meriti di quel giovane ma perché lui è più che mai vivo e vegeto.

Quell’impossibile scambio di guanti

Antoni raccontò poi che, alla fine della partita, si fece avanti anche il portiere avversario. L’inglese Williams gli fece i più sinceri complimenti e gli chiese di scambiarsi cavallerescamente i guanti rimanendo però di stucco alla notizia che Antoni non solo non li portava ma non li aveva mai nemmeno indossati. Da sempre, infatti, Antoni parava a mani nude, sin da quando nel barrio sognava di scendere in campo a difendere la porta della sua nazionale. Smise di giocare nel marzo del 1962 per andare a fare il funzionario di banca ma rimase per sempre nel cuore della gente del Camp Nou. Quando si spense nel luglio di quattro anni fa, a piangerlo c’era un’intera città.