Once in a lifetime: Eduardo Galeano

Il 3 settembre 1940 nasce a Montevideo Eduardo Hughes Galeano, di professione giornalista, saggista e scrittore. La sua esistenza Eduardo l’ha dedicata a raccontare quelle degli altri. La vita ci pone spesso di fronte a scelte radicali. Quale direzione o verso, fuori o dentro. A dispetto delle più razionali supposizioni, sono per lo più decisioni immediate, istintive e naturali, prese sull’onda di emozioni o suggestioni. Perché, poi, la vita non ammette incertezze. Capitò così anche ad Eduardo che si fidò del proprio istinto. Fu così che, al primo bivio, prese la strada meno agevole, quella sconsigliata, quella che l’avrebbe spinto sulle tracce dei più deboli e meno fortunati. Fu così che la sua penna si scoprì coraggiosa e originale soprattutto in quegli anni bui e difficili per le giovani democrazie sudamericane, anni di golpe, violenze, dittature e repressioni.

 Dalla parte dei più deboli

Galeano scelse di stare dalla parte di chi non aveva mai avuto parola e di chi non si sarebbe potuto difendere, della povera gente, degli ultimi e dei reietti, di coloro che vagavano nell’immensità delle campagne e della pampas, degli indios e dei contadini. Eduardo raccontò il mondo attraverso i loro occhi regalando a milioni di lettori quel loro senso di tragica fatalità e cercando di riscattarne le paure. Fu lì, tra quei sentieri, tra le strade infangate e quei solchi di dolore, che la sua narrazione trovò una straordinaria forza morale. Galeano comprese, infatti, che proprio lì tra quella polvere si sarebbero giocati i destini di un intero continente. In quel cammino lungo i nervi dell’America latina andò incontro alla gente, ai poveri e ai soldati, agli artisti e agli intellettuali, agli uomini di fede e ai guerriglieri, componendo una preziosa mappa fatta di tante piccole quotidianità, di dolore e speranza. Da quel lungo viaggio nacque “Le vene aperte del Sud America” che divenne una sorta di diario di bordo tra i più acuti, accorati ed attenti. Quel librò segnò un’epoca, innescando un acceso dibattito ed esponendolo agli strali di chi non voleva riflettere e cercava comode scorciatoie. Braccato e in fuga dalla dittatura, Eduardo non smise mai di ascoltare, ragionare e discutere con passione e coraggio. Grazie ad esso cambiò anche idea rifiutando sempre faziosità e logiche di schieramento. Perché, poi, diceva, quando passa la tempesta, giunge sempre il momento di spiegare le vele e di andare a cercare il vento. E’ il mestiere del navigante, è la cronaca della nostra esistenza e delle sue alterne stagioni, delle tappe di un percorso che ci spinge a crescere ed anche a cambiare opinione come rotta, nel pieno rispetto di tutte le nostre legittime idealità, inclinazioni e aspettative.

Un pensiero ostinatamente contrario

Galeano rimase sempre un figlio prediletto della sua terra. La onorò fino in fondo con l’estrema libertà delle proprie opinioni, con la passione delle vibranti denunce sociali, la lucidità della penna e un pensiero ostinatamente contrario a quello dominante e omologato. Di quel bistrattato continente raccontò le malefatte della politica e le laceranti contraddizioni, facendo i conti con drammi e gioie, pulsioni e derive, sogni e speranze, ascese e cadute. Nonostante lo slancio, Galeano dovette attrezzarsi per sopravvivere a un’infinita teoria di fughe e stenti, all’esilio fisico e a quello intellettuale, al senso di estraneità, alla disillusione e al tempo che scivolava via inesorabile tra le righe delle sue pagine. Gli toccò anche parare critiche e infarti, come fosse un vero numero uno. Con il passare degli anni divenne un riferimento, una delle anime critiche più autorevoli della letteratura sudamericana, un originale saggista e un testimone ironico e poetico che non smise mai di fare domande e di darsi risposte.

Quotidiane e ordinarie miserie

Come i più grandi, Eduardo ha affrontato il tempo e il lento logorio del suo incedere. Talvolta si è pure lasciato convincere a tornare sui suoi passi: lo ha fatto sempre con spirito nuovo stracciando pagine applaudite e tenendo a distanza i fantasmi di spietati demagoghi e “cattivi maestri”. Quella sua sensibilità lo ha guidato tra mari e fiumi, foreste e cordigliere alla ricerca di storie e racconti di fantasia e innocenza, arte e religione. Fu con quello spirito che Eduardo finì per occuparsi anche di calcio, alle cui quotidiane e ordinarie miserie dedicò uno dei più ispirati e lucidi libri di sempre. Tra le sue virgole il football rimase una potente e straordinaria metafora, perché è proprio nella sospesa brezza del dribbling che si celano le curve della ragione e tutto il malinconico inganno della modernità. Nel bel mezzo di un’area di rigore come su una scrivania impolverata, quella sua penna continuò brillantemente a tracciare un solco netto tra bellezza e cinismo, spalti e salotto, impegno ed opportunismo, allegria e rassegnata cupezza. “L’inventario del mondo era incompiuto, era fatto di rottami, vetri rotti, scope calve, ciabattine camminate, bottiglie bevute, lenzuola dormite, ruote viaggiate, vele navigate, bandiere vinte, lettere lette, parole dimenticate e acque piovute. Arthur aveva lavorato con la spazzatura. Perché la vita vissuta era tutta spazzatura, e dalla spazzatura veniva tutto quel che nel mondo c’era o c’era stato. Niente di intatto meritava di figurarci. Le cose intatte erano morte senza nascere. La vita pulsava solo in ciò che aveva cicatrici.”