Once in a lifetime: Andrea Zanzotto

Il 10 ottobre 1921 nasce a Pieve di Soligo Andrea Zanzotto, poeta nonchè maestro di parole e pensieri. Zanzotto non è stato solo la lucida poetica delle sue composizioni, in perfetto equilibrio tra le tensioni di Lorca, Rimbaud e Ungaretti. Zanzotto ha rappresentato ben di più. Perché il maestro si è spinto oltre i perimetri letterari di genere superando steccati, canoni e convenzioni. Le sue scelte lessicali, così coraggiose, radicali e innovative, sono cresciute inseguendo un orizzonte tangibile e quotidiano, fatto di cielo e terra, di strade e vigneti, di ponti e di colline, di supermercati e centri commerciali. Grazie alle parole e al loro potere immaginifico, Zanzotto è così riuscito a rimanere nel presente racchiudendo nelle sue composizioni una riflessione originale e privata sui destini dell’uomo e sul delicato rapporto con la natura e l’ambiente.

L’anima delle parole

In questo cammino Zanzotto è andato incontro alla sfida più estrema, quella di scavare sotto la superficie delle parole, ben oltre l’etimo e la loro intima radice, sino alla loro anima più nascosta e protetta, sino a sfiorare l’inafferrabile rumore di fondo da cui tutte assumono forza e carattere. Questa originale sintesi di linguaggio e immagine gli ha permesso di incrociare le grandi famiglie stilistiche del Novecento senza cadere vittima di suggestioni e senza correre il rischio di scivolare nella trappola del virtuosismo, rimanendo, invece, saldamente ancorato al mondo del suo quotidiano. Con gli anni le sue riflessioni hanno infatti trovato nel territorio natio, nel paesaggio metaurbano del Nord Est e nelle sue mutazioni post-industriali, una piena e diretta trasfigurazione. La sua ricerca poetica ha finito per intrecciare i dolci sviluppi morfologici con la più generale condizione dell’uomo contemporaneo. Il paesaggio si è così trasformato nella più vivida metafora dell’esistenza, nella più alta testimonianza del nostro divenire.

I nodi di un “progresso scorsoio”

Con le parole Zanzotto ha indagato gli incerti di un “progresso scorsoio”, ne ha posto in evidenza le storture e le aberrazioni, ne ha approfondito gli incerti, i dissesti e le devastazioni. Con i suoi versi ha raccontato le dicotomie e i contrasti e ha cercato di dipanare il singolare intreccio che lega la modernità ai capricci dell’anima, mescolando un cospicuo capitale emotivo di partenza con le lunghe ombre della grande trasformazione produttiva, la grammatica delle parole con il progressivo abbandono delle campagne e le derive del turbo-capitalismo molecolare che hanno radicalmente trasformato il territorio e il profilo della pedemontana veneta. La lunga distesa di capannoni e villette-benessere è così divenuta l’occasione per una riflessione sull’illogica condizione del presente, sull’indiscriminato sviluppo degli insediamenti umani, sul vandalismo dei piani urbanistici, sulla grave sottovalutazione delle scienze umanistiche consumata dal mondo della produzione in nome di un fallimentare e sconfitto modello di sviluppo. Indagando quel rapporto, Zanzotto ha anticipato tutti i temi contemporanei della critica sociale, ha plasmato coscienze e sensibilità organizzando un nuovo vocabolario poetico che ha ridato centralità e ossigeno alle immortali visioni di Leopardi e Petrarca e con loro ad una natura frequentata e presente, unica e inviolabile.

“Un poeta percussivo ma non rumoroso”

Quello tracciato da Zanzotto è una sorta di galateo ambientale. Nessuno come lui ha saputo inseguire le fughe del paesaggio con la cura del significato, nessuno ne ha rappresentato il divenire con versi tanto semplici e profondi. Anche per questo, per il suo innato talento di inserire e declinare l’incerto quotidiano nel perimetro di un’attiva dialettica tra etica ed estetica, la sua prosa di luogo è diventata un prezioso registro di emozioni antiche e profonde. Così scrisse di lui Montale: “Zanzotto non descrive, circoscrive, avvolge, prende, poi lascia. La sua è una poesia coltissima, un vero tuffo in quella pre-espressione che precede la parola articolata e che poi si accontenta di sinonimi in filastrocca, di parole che si raggruppano per sole affinità foniche, di balbettamenti, interiezioni e soprattutto iterazioni. È un poeta percussivo ma non rumoroso: il suo metronomo è forse il batticuore”