Once in a lifetime: Fabio Cudicini

Il 20 ottobre 1935 nasce a Trieste Fabio Cudicini, di professione portiere. Quella dei Cudicini è una stirpe di calciatori e di portieri. Quel loro talento è infatti tramandato di padre in figlio da almeno tre generazioni. Al calcio, Fabio, ci arriva, infatti, seguendo le orme del padre Guglielmo, arcigno difensore che aveva militato in diverse squadre e nella Triestina in compagnia di una giovane mezzala di nome Nereo Rocco. Furono quella vicinanza con il padre e quelle comuni radici ad aprirgli, con tutta probabilità, le porte del Milan a cui Fabio approda però solo in età avanzata, a trentuno anni suonati. Il “Paron” lo chiama a fare il “secondo” di Belli: nei suoi piani può dare serenità e sicurezza all’ambiente. Così Fabio va a Milano senza nutrire grandi aspettative: pensa di essere giunto alla fine di un’onorata carriera, sa che dovrà fare panchina ma almeno si consola con la prospettiva di indossare la prestigiosa livrea rossonera.

Una bella carriera

Il Milan sarebbe quindi stato il suo passo d’addio. La sua era stata una bella carriera. A Roma era rimasto otto lunghi anni, indossando per sei la maglia di numero uno. Era sceso in campo 166 volte e aveva pure vinto un importante trofeo continentale, la Coppa delle Fiere. Buone soddisfazioni erano arrivate anche da Udine e Brescia, con i cui colori aveva rispettivamente conquistato una promozione e una risicata salvezza. Insomma, Fabio si poteva ben dire soddisfatto. Ovunque era andato aveva lasciato bei ricordi diventando uno dei più apprezzati portieri della massima serie. Il “Paron”, uomo dai sette sensi, lo scelse anche per questo, per il suo talento ma anche per la grande esperienza. C’erano infatti da svezzare i giovani del vivaio e Fabio sarebbe stato un ottimo maestro. Ma a Milano accade l’imponderabile. Capita, infatti, che la giovane promessa Belli si infortuni seriamente. Rocco affida così a Fabio la maglia nera con il magico numero uno cucito sulla schiena: Cudicini diventa il portiere ufficiale del Milan, per un capriccio del caso, per un vezzo del destino, per un colpo di fortuna o sfortuna a seconda dei punti di vista. Fabio, lo “Stralongo” come lo chiama affettuosamente Rocco, rimarrà a Milano per cinque lunghe e magiche stagioni disputando 127 partite. Con i rossoneri Cudicini vincerà quanto possibile (scudetti, coppa delle coppe, coppa dei campioni, coppa intercontinentale) ed entrerà così nella leggenda.

The Black Spider

La storia del calcio è fatta di metafore, neologismi e soprannomi. Nemmeno Fabio sfuggì a questa regola. Cudicini diventa infatti per tutti il “ragno nero” per via della calzamaglia scura che è solito indossare quando fa freddo, per le sue forme longilinee ma, anche e soprattutto, per la non comune circostanza che quando si accomoda tra i pali della porta sembrano spuntargli otto braccia e otto mani. Il soprannome non mente. In porta Cudicini dimostra una straordinaria agilità e un fantastico senso della posizione. Quel suo talento gli permetterà di chiudere ogni varco agli avversari. Ne sanno qualcosa dalle parti di Manchester e di Glasgow dove il Milan, in Coppa dei Campioni, andrà a resistere a novanta minuti di autentico e asfissiante assedio. Nei quarti di finale i rossoneri affrontano, infatti, il Celtic di Jock Stein, i leggendari “Lisbon Boys” di Gemmell, McNeill e Lennox. All’andata a San Siro ghiaccio e neve costringono le squadre a un ruvido pareggio a reti inviolate. Il ritorno al Celtic Park sarà una battaglia. I biancoverdi sono imbattuti da anni sul proprio terreno di gioco e puntano decisi alla semifinale. Da quelle parti qualcuno prova anche a festeggiare in anticipo facendo male i conti. Il Milan di Rocco affronta gli scozzesi a muso duro, con il solito robusto schieramento difensivo affidandosi al contropiede e alla rapidità delle punte. Ancora una volta i solidi schemi del “Paron” hanno ragione degli avversari, perchè, al dodicesimo minuto, Pierino Prati dà uno spietato saggio della propria proverbiale velocità e infila Simpson in uscita. Adesso ai rossoneri tocca difendersi. Quello che li attende per i successivi 78 minuti è un’autentica battaglia campale. La difesa sembra spesso sul punto di capitolare sotto l’onda d’urto dei Bhooys ma Cudicini para e respinge qualsiasi cosa venga sparata verso la sua porta, anche qualche bottiglietta e diverse decine di migliaia di improperi in stretto idioma gaelico. Il Celtic si arrende e il Milan vola in semifinale ad affrontare lo United.

Uno dei portieri più vincenti di sempre

Anche a Old Trafford occorre difendere la rotonda vittoria ottenuta all’andata grazie alle reti di Sormani e Hamrin. Il Manchester United tira fuori le unghie e gioca una partita estremamente fisica in un clima surriscaldato. Dopo quarantacinque minuti di passione, a metà del secondo tempo, Sir Bobby Charlton trova d’astuzia il gol del vantaggio e regala a Cudicini i venti minuti più lunghi della sua vita. E’ una specie di partita a porta unica, un continuum di risse e mischie in area, di colpi di testa e proibiti. Dagli spalti piove di tutto ma Cudicini toglie con sicurezza ogni castagna dal fuoco, sempre con garbo, nervi saldi e un’infinita teoria di acrobazie e parate che gli aprono le porte della storia guadagnandogli anche l’incondizionata ammirazione dei tifosi britannici. Quel Milan, quello della magica stagione 1968-69, andrà poi a Madrid a giocarsi la finale di Coppa strapazzando il giovane Ajax di Michels. Cudicini salirà con i compagni sul gradino più alto d’Europa ed entrerà nella leggenda come uno dei portieri più vincenti di sempre. Fabio non giocherà mai una volta in nazionale, per via dell’età, dell’aspra concorrenza e forse anche dei pregiudizi di qualche tecnico, ma, ciò nonostante, si guadagnerà un posto di rilievo nella speciale graduatoria dei primi dieci portieri italiani di sempre. “Nel calcio ero nato come ala destra: nelle giovanili della Ponziana avevo cominciato come ala destra dei Giovanissimi. Poi, siccome le mie doti non erano eccezionali, nei ritagli di tempo dell’allenamento mi piaceva andare anche tra i pali. La passione e la successiva carriera mi diedero ragione.”