Once in a lifetime: Dave Brubeck

Il 6 dicembre 1920 nasce a Concord, California, David Warren Brubeck, futuro pianista e compositore. Creatività e innovazione abitano spesso un mondo diverso da quello di regole e paradigmi, cose buone solo per chi insegue certezze cercando pure qualche scorciatoia. David di certezze ne coltivò ben poche. Tra queste, la passione per la musica fu la più longeva dal momento che rimase con lui sino all’ultimo dei suoi giorni.

Un grande innovatore

Brubeck è stato un grande innovatore, uno sperimentatore che ha spesso litigato con imposizioni e convenzioni, rimanendo sempre lontano dal classicismo di scuole e accademie come dai dogmi degli spartiti. Al contrario, Dave ha ascoltato solo se stesso: non ha avuto paura di prendere il largo quando ne ha avuto l’occasione e ha così conosciuto l’eccitazione della deriva seguendo solo l’istinto e la voglia di mescolare timbri e registri. Il primo amore fu la musica classica di cui però faticò a tollerare gli schemi. Brubeck diffidava di ogni tipo di convenzione. Il giovane David preferiva infatti seguire il suo fiuto e quel suono moderno e inquieto, meticcio e urbano che veniva dai sottoscala dei bar e che faceva muovere corpo e mente. Quella musica parlava una lingua diversa, non imponeva schemi, pretese o mediazioni. Era puro istinto e improvvisazione. I genitori compresero quell’acerbo talento e lo incoraggiarono a frequentare alcuni corsi universitari. Pur dimostrando senso del ritmo e delle proporzioni, Brubeck rischiò di non terminare nemmeno quelli. Insofferente ai canoni e alla dittatura dello spartito, si guadagnò la certificazione solo grazie alla solenne promessa che se ne sarebbe andato di lì e non vi avrebbe più fatto ritorno. Quello che accadde dopo fu la più incredibile delle rivincite. Perché Dave cominciò ad esibirsi regolarmente nei club della sua città coltivando quella rischiosa passione per l’irregolarità e dando libero sfogo a tutta la sua vena creativa. Brubeck rilesse così classici e standard introducendo variazioni sempre più rilevanti e radicali. Tra i tasti del suo pianoforte quei brani parvero così cambiare del tutto veste e stile. Quel suono colpì in profondità il pubblico. Le sue composizioni diventarono lo specchio di tempi incerti e promettenti, la perfetta colonna sonora del sogno americano, della “nuova frontiera”, delle speranze e delle spinte radicali di una generazione di beatniks, universitari, poeti, artisti e musicisti che, in quei primi anni Cinquanta, contestava il sistema di valori urlando con versi e rime il proprio dissenso rispetto a un modello sociale distante e patinato, ostaggio di ipocrisie e perbenismo.

La “nuova frontiera”

Di quel trasversale e composito movimento Brubeck diventò un assoluto protagonista. Dave indossò infatti i panni del pioniere: precorse tempi e aprì le porte alla contaminazione tra generi, stili e suoni liberando il jazz da pregiudizi accademici, classisti e musicali per restituirlo alla sua anima profonda ed autentica. Le idee di Brubeck, la sua tensione interiore per il brivido trasformarono quella musica nervosa e sincopata in uno stupefacente impianto sonoro al passo con le pulsioni ideali dell’epoca. Tra le sue dita il jazz si fece così “cool”, ricercato e moderno, dinamico e inclusivo. L’obliquo ritmo dispari dei suoi brani, le complesse e asimmetriche trame compositive, il ricorso a tempi irregolari, la rilettura di strutture classiche mutuate da Mozart, Bach e Schoenberg sposarono la fascinazione per la reiterata sovrapposizione di armonie e registri della più diversa estrazione. Il suono elegante di Brubeck, agile e rapido, affilato e vibrante, diventò così la colonna sonora di un tempo irripetibile, quello in cui tutto pareva a portata di mano, dove il progresso scientifico sembrava poter conseguire anche quello sociale e civile.

Un linguaggio politico

Brubeck ha parlato lo stesso linguaggio dei college universitari, ha costruito un linguaggio inedito, collettivo, sociale e politico che si consegnava al futuro e al fervido immaginario delle prime emittenti radiofoniche, ha affrancato la musica da riferimenti ed antichi padri, gli ha dato una nuova direzione e un diverso respiro. La sua rapida ascesa fece discutere i critici, spiazzati da quel suono nervoso che arrivava da luoghi diversi rispetto ai club di New York o di New Orleans e che, soprattutto, stava andando da un’altra parte. Perché quella era una nuova traiettoria, parallela e indipendente. Dave ha continuato a battere quelle rotte girando il mondo per decenni. Non si fermò se non quando arrivò alla soglia dei fatidici novant’anni, quando furono i capricci cardiaci ad imporgli lo stop. La fine sarebbe giunta di lì a poco. Il suo cuore smise di battere il 5 dicembre 2012, il giorno prima del suo novantaduesimo compleanno. Alla lettura dei quotidiani che piangevano la sua scomparsa avrebbe però protestato per quel loro modo composto e cortese. Perché ci sono momenti in cui le parole non servono, avrebbe aggiunto, perché il suo in realtà non era un vero congedo e soprattutto perché in questo mondo le persone, le idee, i sentimenti come pure la musica non possono scomparire. Mai.