Once in a lifetime: Paul Simonon

Il 15 dicembre 1955 nasce a Brixton, Londra, Paul Gustave Simonon, di professione bassista e pittore. Il suo nome è diventato leggenda per la straordinaria parabola percorsa con i Clash nell’arco di sette lunghi anni che cambiarono il volto e il destino della musica giovanile, aprendo le porte a una miriade di correnti e incroci stilistici.

Un incontro del tutto casuale

In realtà il giovane Paul alla musica non ci pensava proprio. Come buona parte dei protagonisti di quella stagione, Simonon non sapeva suonare nè aveva nemmeno intenzione di provarci. Le sue passioni erano altre. Paul adorava la pittura, l’arte, i quadri e le mostre. Fosse stato per lui, avrebbe girato il mondo a visitare musei, a studiare, imparare, sognare e, soprattutto, a cercare la propria Musa. Ma poi, in uno strano pomeriggio londinese di pioggia e nebbia, gli capitò di accompagnare un amico ad un provino di una misconosciuta punk band. I London SS si candidavano ad essere la “next big thing” e quello scarno annuncio affisso alle bacheche dei locali londinesi aveva dato convegno ai musicisti più intrepidi. La lunga coda fuori dalla sala prove avrebbe scoraggiato chiunque, anche i più navigati. Paul era andato lì solo per tenere compagnia all’amico chitarrista e ingannare la noia di un pomeriggio come gli altri. Ma invece la sorte lo fece accomodare al tavolo di gioco in attesa di una buona mano, che poi alla fine arrivò. Quel pomeriggio accadde infatti l’improbabile, perché il suo amico, abile ed esperto musicista, venne sbrigativamente congedato mentre lui, che non aveva mai nemmeno preso in mano uno strumento venne all’unanimità giudicato perfetto per il ruolo di rockstar. Chitarra, basso o chissà che altro. Alla fine non sarebbe stato certo un problema, pensò Mick Jones, sfrontato leader della neonata band. Brillanti misteri del punk!

Una storia di battaglie e strimpellatori

Simonon però litigò oltre ogni aspettativa con le corde della chitarra e Mick decise allora di insegnargli qualche giro di basso. Paul imbracciò lo strumento e non lo mollò più, nemmeno quando il manager di quella strana band decise, ad insaputa dei suoi membri, di imbarcare in squadra anche un altro scapigliato di belle speranze, John Graham Mellor in arte Strummer, che da tempo ormai sfidava il destino e tutte le sue singolari derive. Era il 1 giugno del 1976 e il futuro di quei tre giovanotti stava per cambiare, a cominciare dal nome di quel loro rumoroso sodalizio, che di lì a poco si sarebbe trasformato in Clash, proprio per iniziativa del giovane Paul, stregato dal ricorrente campeggiare del termine sulle prime pagine dei quotidiani. Nella seconda metà degli anni Settanta Londra era diventata il centro dell’universo e le tensioni sociali infiammavano quotidianamente i quartieri popolari. Quella giovane band di geniali dilettanti si votò a quel caos e ne divenne in breve il portavoce più ispirato, l’ideale colonna sonora. Con i Clash Londra, il punk e la musica non furono più gli stessi.

“Guns of Brixton”

Simonon divenne la silenziosa forza motrice della band, il magistrale punto di equilibrio tra Joe e Mick, il perfetto baricentro tra cuore e anima. Paul era la colonna portante, l’icona spavalda e irriverente, quella ritratta in una delle più celebri copertine della storia del rock. Lo scatto di Paul intento a distruggere il suo Fender Precision sul palco del Palladium durante una data newyorchese si consegnò infatti agli annali finendo per campeggiare sui muri delle camerette di un numero spropositato di inquieti adolescenti. Seguirono sangue e passione. Dopo “London Calling” e il celebre registro fumoso di “Guns of Brixton”, in cui Paul narrava i riots del suo quartiere, arrivarono anche la straordinaria scommessa di “Sandinista” e, dopo qualche incerto, il passo d’addio di “Combat Rock”. La storia dei Clash si chiuse definitivamente tra i rimbalzi pop di “Should I Stay Or Should I Go”, “Rock The Casbah” e “Straight To Hell”. Il passato era già alle spalle e il futuro non ancora scritto. Paul rimase con Joe per l’ultimo canto del cigno di “Cut The Crap”. Poi il vuoto li inghiottì per sempre. End of the story, senza rimpianti né paure.

Quella volta degli Havana 3am a Castelnuovo del Garda

Sei anni dopo la fine di quella storica esperienza, Paul però riprese in mano il proprio destino dal manico del suo basso e tornò a girare il mondo sotto le insegne di un’altra band, gli Havana 3am, in compagnia di una manciata di vecchi e nuovi filibustieri. Fu un’esperienza fugace e leggera, impalpabile come un alito di vento. Ma Paul mostrò di sapersi divertire come ai vecchi tempi. Fu proprio qui, durante questa sua breve parentesi artistica, che la sua singolare deriva finì per incrociare anche la mia, in un pomeriggio caldo e assolato di giugno del 1991, in occasione di una delle tre date italiane della sua band che organizzai in un locale della provincia di Verona. Ne scaturì un concerto da tutto esaurito che accontentò anche i palati più esigenti in un crescendo di umori reggae, tex mex e rockabilly. Ma più che il concerto serale, fu il pomeriggio a diventare memorabile, per via di un lungo sound-check nelle cui code Paul si intrattenne a discutere di pittura, vino e arte. Singolarmente non parlò di musica. Non so dire se per pudore o una sorta di rispetto verso un passato ingombrante da cui tentava di smarcarsi. Ma a noi poco importò. Perché qualche ora più tardi Paul sarebbe salito sul palco per tornare ad “incendiare Londra” e la nostra fervida immaginazione.