Once in a lifetime: Nestor Combin

Il 29 dicembre 1940 nasce a Las Rosas, nella provincia di Santa Fe, in Argentina, Nestor Combin, di professione calciatore. Nestor aveva lineamenti duri e ventosi. Li portava a spasso assieme ad un’espressione spavalda e ad una faccia da pugile fiero e sfortunato. Quel suo profilo andino raccontava vite bruciate e speranze di riscatto, le stesse che avrebbero baciato la boxe di Monzon. Nestor però scelse di fare un mestiere diverso da quello di Carlos, anche se poi con i pugni avrebbe dovuto, suo malgrado, fare i conti.

L’idolo del “Gerland”

Nestor sapeva usare molto meglio i piedi e la testa che le mani. Per tentare la fortuna fu costretto ancora adolescente ad abbandonare il suolo patrio cercando fortuna altrove al di là dell’Atlantico. Il destino lo convoca in Francia, la terra dei suoi genitori. Il merito di quel rientro è di un agente transalpino stregato da tutta quella potenza e aggressività di gioco. Jesus Amalfi lo acquista, infatti, a titolo personale e lo porta con sé a Lione. Per Combin è una sorta di ritorno al passato, è come ripercorrere a ritroso il viaggio compiuto dai suoi genitori. Dal 1959 al 1964, con la maglia dell’Olympique, farà sfracelli segnando la bellezza di sessantotto reti in cento partite ufficiali e divenendo l’idolo del “Gerland”. Sull’onda dell’entusiasmo, Combin decide di prendere la cittadinanza del paese dei suoi avi, così per chiudere idealmente il cerchio, per dare un senso a quel ritorno. Combin diventa così francese a tutti gli effetti.

Una questione di orgoglio patrio

Quando dal suo paese natio arriva la cartolina di precetto, Nestor pensa ad un errore e non risponde. Lui il servizio militare lo ha fatto in Francia. Cos’era questa strana pretesa di rifarlo in Argentina? Ma al di là dell’Atlantico la cosa, però, non passa inosservata. La stampa monta un caso. Finisce così per essere accusato di tradimento e diserzione. Per un’intera nazione, quella di origine, Nestor diventa l’ennesimo mercante del tempio disposto a tutto pur di far soldi e carriera, anche a rinnegare le sue radici natali. Gli amici francesi e il consolato gli consigliano di non replicare a quelle provocazioni. Così, Nestor fa buon viso a cattivo gioco e si lascia alle spalle questa brutta storia in attesa che la polvere infine si abbassi e il vento cancelli quelle ignobili accuse. Purtroppo non sarà così. Gli argentini non perdoneranno mai quell’affronto e lo attenderanno pazientemente per regolare i conti.

L’esperienza italiana

Nel frattempo Nestor fa carriera e l’eco delle sue imprese valica le Alpi. Lo prende la Juventus di Heriberto Herrera. Non saranno bei tempi però perché il suo temperamento lo porta rapidamente in rotta di collisione con i rigidi precetti del “colonnello” bianconero. La proverbiale durezza del paraguayano non gli lascia scampo: le sue intemperanze lo bollano agli occhi della società come un giocatore scomodo e ingestibile. Herrera lo parcheggia in panchina e la stagione successiva lo spedisce a Varese. Ma anche lì Nestor fatica a legare con i compagni e le ombre lunghe di una nomea poco esemplare finiscono addirittura per metterlo fuori rosa. Ci penserà il “Paron” a ridargli morale e convinzione. Rocco lo chiama infatti a Torino e Nestor tornerà immediatamente protagonista. Saranno tre stagioni intense e vibranti, magnifiche e tragiche. Poi, esaurita la fiamma, la sua carriera prende un binario morto. Quando ormai si è convinto di fare le valigie per tornare in Francia è ancora il “Paron” a cercarlo. Nereo lo vuole a Milano per difendere al meglio l’onore rossonero in campo internazionale. Nestor diventa quindi un riferimento offensivo dello schieramento milanista, dove va spesso a fare compagnia a Rivera, Sormani e Prati. C’è un campionato difficile da portare a casa, ma, soprattutto, c’è da andare a vincere la coppa più importante, quella Intercontinentale. C’è da affrontare il ruvido Estudiantes de La Plata. Nestor intuisce che quelle due partite saranno dure quanto e più di una battaglia, ma non si tira certo indietro.

Quella maledetta magica notte di Baires

Il 22 ottobre del 1969 Buenos Aires attende la finale di ritorno della Coppa Intercontinentale. All’andata i rossoneri avevano dominato vincendo tre a zero, un punteggio rotondo maturato grazie anche ad un suo gol. Il ritorno alla Bombonera fu invece una sanguinosa resa dei conti, una caccia all’uomo condotta con intimidazione e cinica spregiudicatezza grazie anche all’irresponsabile complicità dell’arbitro cileno Domingo Massaro. Il presunto disertore Combin venne così inseguito e maltrattato in ogni angolo del rettangolo verde: prima un fallo plateale da dietro, poi tre violenti sgambetti, quindi una gomitata, un calcio, una spallata, una spinta, fino a quando il temibile picchiatore Aguirre Suarez, a metà del secondo tempo, a gioco fermo, gli rifila un gancio degno di Cassius Clay mandandolo al tappeto e completando poi a freddo il trattamento con una ginocchiata in pieno viso. Combin cade a terra tramortito in un lago di sangue. Gli ci vorranno diversi minuti per riprendersi e resistere stoicamente sino alla fine della partita per festeggiare, nonostante la sconfitta di misura, l’agognata conquista del trofeo. Ma non appena raggiunge gli spogliatoi Nestor trova la polizia ad attenderlo per arrestarlo e tradurlo in carcere con l’accusa di diserzione. Ci vorrà una notte intera e la determinazione assai poco diplomatica del “Paron” per sbloccare la situazione e farlo rilasciare.

Un cuore granata

Di tutte le partite italiane de “La Foudre” a passare alla storia, però, è un match di qualche anno prima. E’ un incontro diverso da tutti gli altri. E’ un triste e solenne saluto. E’ quello che segue la tragica scomparsa dell’amico Gigi Meroni. Quella domenica il Torino affronta la Juventus al Comunale. Per tutti non è un derby come gli altri. Ma Nestor non sta bene. Il giorno della partita si sveglia in un mare di sudore. Ha quasi trentanove di febbre. Arrivano i medici. Impossibile schierarlo, questo il verdetto. Ma l’Indio non ascolta nessuno. Lui ha deciso che quella domenica sarebbe sceso in campo a qualsiasi costo, nonostante tutto e tutti, nonostante la cattiva sorte, il termometro di mercurio e le diagnosi. Alla fine farà proprio così, Combin entrerà in campo guardando la volta del cielo. Grazie anche alla sua storica tripletta il derby finirà 4 a 0 per i granata e Nestor entrerà per sempre nei cuori dei tifosi granata.