Once in a lifetime: Johnny Lydon

Il 31 gennaio 1956 nasce a Londra John Joseph Lydon, di professione cantante, musicista e performer. La sua è stata una vita di estremi, perché tra gli eccessi si sono snodate tutte le sue traiettorie. Lydon li ha sempre coltivati con destrezza e agilità, cavalcando l’onda almeno sin quando ha retto la gravità. Johnny ha aperto epocali dispute e dibattiti, quanto e più dell’odiato mentore McLaren, approfittando sia del consenso di chi lo riteneva una personalità dirompente che delle aspre critiche di chi, invece, lo considerava solo un presuntuoso arrivista. Su tutti questi pregiudizi Johnny ci ha costruito una solida carriera, cogliendo con fiuto e perspicacia tutte le occasioni che il destino ha deciso di offrirgli. Lydon è così riuscito a lasciare il segno, ma non proprio nei termini cari all’iconografia ufficiale.

Un eccentrico esteta

In realtà, Johnny Rotten, emblematico pseudonimo degli esordi, si rivelò, in quegli anni di confuse pulsioni, un brillante ed eccentrico visionario. Se buona parte dell’intuizione estetica del primo germoglio si deve alla Bowery delle New York Dolls e allo straordinario senso di orientamento di Malcolm McLaren, l’esplosivo e prorompente cammino del punk deve moltissimo al ghigno allucinato di Lydon. Johnny ebbe infatti il merito di tracciare la rotta sonora su cui dirigere tutta quella radicale provocazione. Perché Johnny era abilissimo nell’usare la propria immagine ma, anche e soprattutto, nel giocare con le immagini, i gesti e le parole, nel ricorrere agli slogan e nel dare un volto aggressivo e artistico a tutta quell’irriverente furia iconoclasta. Perché, a dispetto dei miti enciclopedici, Johnny non era affatto un rozzo selvaggio ma poteva bensì contare su un’eclettica personalità e una solida cultura musicale che metteva radici nel tessuto suburbano del reggae e dell’art-rock. Fu anche grazie a queste attitudini e alla sua crescente autonomia creativa che i Sex Pistols divennero un’inconsapevole mina vagante. Lydon divenne suo malgrado icona, il manifesto di quel sonoro vorticare o, meglio ancora, come urlerà più tardi dalla copertina della nuova avventura musicale, l’immagine pubblica del caos, il terrorista musicale che sfidava il sistema a colpi di rumore, chitarre e overdub.

Il detonatore pubblico

Se i singoli della band sono entrati nella storia, parte del merito è anche suo, perché toccava a lui fare da detonatore pubblico, quello che accendeva la miccia e si consegnava alla censura, facendo guadagnare fama e celebrità anche al resto della band. Le apparizioni televisive dei Pistols furono tutte piccoli straordinari compendi di “instant marketing”. Johnny provocava secondo schemi studiati e sperimentati, calibrando termini e offese. Guidava il gioco, stava alle domande dell’intervistatore per il solo tempo necessario a bucare lo schermo guadagnando la battuta o l’attimo per lo sputo successivo. Alla fine, dopo una lunga teoria di scorribande, le televisioni e la stampa compresero come disinnescare la bomba che portava in giro. Johnny si rese conto che i danni che sperava di provocare erano improvvisamente diventati del tutto relativi e che la sua espressione allucinata si stava trasformando in un prodotto di massa. Decise allora che i tempi erano maturi per qualcos’altro, qualcosa di diverso.

“L’immagine pubblica mi appartiene”

Fu infatti il sequel alla rapida parabola del punk a guadagnargli le pagine degli annali. Perchè, smessi i panni di Rotten, Lydon dimostrò tutto il suo talento interpretando lucidamente quel senso d’urgenza e quella carica utopica che si aggirava per l’Europa in cerca di credibili interpreti. La successiva avventura dei Public Image Ltd si rivelò infatti fondamentale per la sorte e lo sviluppo della musica e di tutto quello che avrebbe alimentato un fiume di longeve derive stilistiche. Lydon e compagni suicidarono così l’immediato passato spalancando le porte ad una straordinaria babilonia di linguaggi. I PIL, al pari di Pop Group, Pere Ubu e Throbbing Gristle, inaugurarono magistralmente la stimolante stagione del post-punk, trasformando quelle spinte in una nuova offensiva artistica che scioglieva le tensioni ritmiche in un temerario incrocio di ossessioni rumorose, echi dub-funk, inserimenti sintetici e chitarre caustiche e nervose. Singolarmente l’inizio di quella nuova avventura coincise con il termine della precedente. L’idea dei PIL fu, infatti, figlia di un’oltraggiosa stilettata che Lydon inferse al cuore dal palco del Winterland di San Francisco in una sera di gennaio di trentotto anni fa. I Pistols avevano fatto il pieno e quel mare di teste sudate che saltava sotto il palco era un catalogo di creste, spille da balia e colla di pesce. Un insofferente ma lucido Johnny attese pazientemente l’attimo fuggente e chiuse il rimbalzo fragoroso di “No Fun” urlando al microfono: “Mai avuto la sensazione che vi abbiano fregati?” Qualche giorno più tardi la band si sciolse lasciando i fans nella più totale confusione.

Il suono post-modernista dei PIL

Lydon cercò così nuovi stimolanti compagni di strada. Li trovò in Keith Levene, Jah Wobble e Jim Walker. Johnny si gettò alle spalle lo pseudonimo di Rotten e tutti quegli ultimi lunghi mesi di dolente disillusione. Riuscì perfettamente negli intenti e il sacro fuoco degli esordi non si spense. I PIL entrarono nel futuro sperimentando nuove forme musicali, meno rapide e incalzanti rispetto al passato, meno facili ed efficienti dei singoli dei Pistols, infiltrando una densa giungla di soluzioni coraggiose e radicali, claustrofobiche e d’avanguardia. Ne nacquero una manciata di intuizioni epocali, che trovarono i più radiosi esempi nel lancinante singhiozzo di “Albatross” e nel design post-modernista del famoso “Metal Box”. Johnny si sentì finalmente a casa, libero di spaziare tra generi e desinenze. Gli sembrò che quella fosse la strada giusta e dichiarò così guerra all’industria discografica, al suo passato e in parte anche al vecchio pubblico. Molti si chiesero se Lydon avesse rovinato tutto, ma il tempo, alla fine, gli diede ragione. Quella nuova scia illuminò per anni il cammino aprendo la strada a un decennio formidabile di scommesse e idee, pensieri e brividi. Lydon, diventato nel frattempo anche un apprezzato pittore, ha continuato a pilotare magistralmente la sua creatura trovando sempre il modo di connettersi con il caos dall’alto di una contagiosa irregolarità. “Non ho tempo per le bugie e le farneticazioni. Nemmeno voi dovreste averne.”