Diego Alverà racconta. Aldous Huxley e il futuro presente.

Ricordare Aldous Leonard Huxley solo per le derive distopiche che traspaiono dalle sue opere risulta forse riduttivo. Di certo non rende onore a un pensiero più magmatico e complesso, ambizioso e moderno, ad un progetto sociale e politico di grande spessore e concretezza. Al pari di Orwell, Aldous può ben dirsi il visionario padre del romanzo fantascientifico di natura distopica, ma al contempo è stato anche un coraggioso sperimentatore, un autorevole intellettuale, una delle voci più libere del secolo scorso. Anche per questo il suo pensiero politico e laterale è diventato una sicura ispirazione per centinaia di artisti, pittori e musicisti della contemporaneità.

Figlio di un irrisolto conflitto

Come molti altri illuminati protagonisti di quello scorcio di secolo, Aldous dovette quotidianamente convivere con un irrisolto conflitto, una specie di pesante ombra. Pur provenendo, infatti, da una stirpe di scienziati che riponeva cieca fiducia nella leggi deterministiche e nel darwinismo, Aldous, sin dalla più giovane età, si innamorò delle lettere e della fascinosa arte dello scrivere. Nel respiro di filosofi e letterati trovò ben più di un semplice conforto. Da quel fluido alveo di stimoli e pensieri mutuò infatti un’originale visione del reale che si legava strettamente alle condizioni di vita delle fasce meno abbienti della popolazione. Pur avendo buoni natali e un pedigree di assoluta cifra aristocratica, Aldous rifiutò sempre i privilegi del suo rango, prendendo apertamente le distanze dall’alta e agiata borghesia da cui proveniva la sua famiglia. Questo irrisolto dualismo ne avrebbe segnato drammaticamente l’intera esistenza. Perché, nonostante tutto, fu proprio quel censo a consentirgli di coltivare buoni studi e parte dei suoi sogni. Aldous percepì come un peso questa sua fortuna e ne soffrì apertamente. Si era infatti convinto che il mondo dovesse appartenere a tutti e tutti quindi avrebbero avuto il diritto di accedere alle sue risorse. Fu questa profonda dicotomia, questa ferita a spingerlo, anche fisicamente, dall’altra parte del globo. Così, negli anni della prima maturità, Aldous lasciò la famiglia e prese a viaggiare, a leggere e a studiare passando di continente in continente, di paese in paese, dall’Italia alla Francia, per stabilirsi infine in California.

Un destino fatale

Ad acuire maggiormente quella sua innata inquietudine provvide inoltre il destino. Una sorte crudele si portò via la madre quand’era poco più che adolescente e, solo pochi mesi dopo la sua iscrizione al prestigioso college di Eton, un maligno destino l’avrebbe costretto a fare i conti con una malattia grave e invalidante. Una cheratite fulminante si sarebbe infatti presa buona parte delle sue capacità visive costringendolo a imparare rapidamente il braille. Avrebbe voluto fare il medico ma dopo queste dure prove, recuperata in parte la vista grazie anche a delle potenti lenti di ingrandimento, puntò solo a finire l’università non tanto in prospettiva di un futuro impiego quanto piuttosto per ripagare un debito non solo morale con il padre e la famiglia.

Gli scenari futuribili e il quotidiano presente

Probabilmente l’idea di mettersi a scrivere lo agitava già da tempo, ma si manifestò chiaramente solo al termine del percorso di studi. Aldous cercò di trasferire su carta tutte le tensioni ideali che lo scuotevano. Buona parte dei suoi primi scritti sono il frutto di un’inquieta attitudine al pessimismo. Aldous si era fermamente convinto che al progresso scientifico non sarebbero mai conseguiti, nei fatti, nè un progresso sociale nè, tanto meno, un benessere collettivo. Quel pensiero si era formato nel contingente quotidiano ed era scaturito dall’attenta osservazione delle dinamiche relazionali dei compagni di università e dei suoi coetanei, di quel mondo futile e spensierato che sembrava vivere un universo diverso da quello che le derive dello sviluppo industriale stava regalando in quel frangente alle periferie e alle campagne. Fu in quegli anni di formazione che il giovane Huxley intrecciò con pazienza tutti i nodi che avrebbero, in seguito, costituito l’ossatura del suo progetto politico e del suo assunto distopico, quello che poi lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo e che sarebbe risultato decisivo nel determinare tutte le rotte della letteratura fantascientifica. Come Orwell, Lem, Gibson e Dick, Aldous, infatti, avrebbe narrato di scenari futuribili e laterali solo per portare in evidenza le criticità e le contraddizioni di un quotidiano reale e presente, solo per mettere in guardia il mondo da pericoli concreti, come quelli legati al pensiero unico, alle dittature, al totalitarismo e al conformismo.

“Il Mondo Nuovo”

Aldous si rivelò uno scrittore visionario. Raccontò, infatti, di un mondo consegnatosi a una morbida e subdola dittatura che manipola le menti condizionando ogni settore del vivere sociale; un mondo rigidamente improntato ai meccanismi di produzione del fordismo, soggiogato dalla tecnologia, dalla discriminazione razziale, dalla genetica e dalla clonazione, dal controllo mentale e dagli slogan di propaganda. Quella società apparentemente felice, senza più malattie e vecchiaia, senza più pensieri o affanni, in realtà, era solo il frutto di una bieca manipolazione. Aldous racconta tutto questo nel suo “Il Mondo Nuovo”. Lo fa nel 1932, poco prima, cioè, che le ombre lunghe dei macabri piani di Hitler e Stalin calassero sul Vecchio Continente e sull’intero globo. Lo fa dall’alto di una precisa coscienza dei fenomeni globali, avendo profeticamente compreso i guasti di un sistema di sviluppo che già allora scommetteva sulle crisi periodiche solo per ristabilire l’ordine delle cose, per frustrare ogni speranza di mobilità sociale e governare nel nome del populismo e dei valori di “comunità, identità, stabilità”.

Le Porte della Percezione

Huxley diverrà uno scrittore molto seguito e applaudito, ma, al contempo, anche un personaggio scomodo e mal sopportato dalle autorità. Anche per questo Aldous rifiuterà sempre la cittadinanza americana interpretando con coerenza il profondo e illuminato scetticismo delle sue opere. I suoi lavori saranno messi all’indice, il suo pensiero asimmetrico e politico tacciato di eversione, la sua persona calpestata da pregiudizi e maldicenze. Ma la sua strada sarebbe continuata portandolo da altre parti. Il fulminante incontro con Jiddu Krishnamurti lo avrebbe introdotto alla meditazione, alla trascendenza e al misticismo, avvicinandolo sempre di più alle sostanze psicotrope e agli allucinogeni. Sarà seguendo quella traiettoria che si ritroverà al cospetto delle “Porte della Percezione”. Saranno proprio i suoi più discussi lavori a influenzare intellettuali, pittori, artisti e bands importanti come Beatles e Doors.

Il padre nobile della rivoluzione giovanile

Accadrà così che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, intere generazioni lo eleggeranno influente “padre nobile”. Aldous, però, non avrà modo di godere di tutti quegli entusiastici consensi. Aldous muore, infatti, qualche anno prima dell’esplosione psichedelica, nel 1963, in quello stesso tragico 22 novembre in cui a Dallas l’America “giustizia” il presidente JFK e i sogni di cambiamento. Il suo grido contro le derive di un’edulcorata e vacua modernità rimangono, ancora oggi, uno straordinario punto fermo nella letteratura del Novecento. “L’esperienza non è ciò che accade a un uomo, ma è cio che un uomo fa con quel che gli accade.”