Diego Alverà racconta Bobby Fischer

 

Il 17 gennaio 2008 muore a Reykjavík, in Islanda, Robert James Fischer, di professione scacchista.

In quella lontana era di guerra fredda quella di Bobby Fischer e del suo infinito incontro con Boris Spasskij divennero icone molto frequentate. Quella sfida, che sulla carta metteva a confronto scuole, tattiche e intelligenze, divenne anche un epocale evento mediatico.

Un “fenomeno assoluto”

Di quel mondo ancora in bianco e nero Fischer era il “fenomeno assoluto”, il genio, l’intelligenza, la lucidità tattica. La sua storia si intreccia con quella dello storico incontro per il titolo mondiale. Quel match infinito contro Spasskij durò infatti la bellezza di cinquantacinque giorni dell’estate del 1972 divenendo l’avvenimento più seguito in tutto il mondo, più o meno come le Olimpiadi o lo sbarco sulla luna. Anche la Rai si attrezzò al meglio e, per la prima volta nella storia, propose al pubblico una singolare e rarefatta diretta affidandola ai registri sobri e amichevoli di un giovane e promettente cronista di nome Bruno Pizzul. L’incontro del secolo si disputò in Islanda, a Reykjavík, dall’11 luglio al 3 settembre 1972. Il mondo intero rimase per giorni a scrutare pensieroso la scacchiera e quel piccolo palco, soppesando gli sguardi e quella timida guerra di nervi che faceva di tanto in tanto capolino tra le pedine. Il sistema scacchistico parlava russo da anni e la sfida portata da quell’impertinente ed eccentrico americano aveva mobilitato simpatie e applausi in quasi tutto l’Occidente. Quel match sarebbe stato ben più di una partita a scacchi.

Provocazioni e schermaglie

Tra i due le schermaglie erano continue. Bobby si lamentava del rumore delle telecamere, Boris della petulanza di Bobby. Il tutto si trascinò per lunghe giornate tra patte, moduli difensivi, strategie attendiste e qualche poderosa emicrania. A causa delle continue proteste, le telecamere vennero infine rimosse mentre il loro proprietario, Chester Fox, che aveva pionieristicamente acquisito i diritti di trasmissione, manifestò il proprio dissenso promettendo cause milionarie. Fischer dichiarò infine guerra anche agli spettatori chiedendo la rimozione delle prime sette file di sedie (gli organizzatori ne levarono solo tre) mentre la delegazione sovietica ottenne di far perquisire la postazione e la sedia di Bobby per verificare l’esistenza di apparecchiature elettroniche che potessero controllare o condizionare l’avversario. L’estenuante incontro si concluse alla ventunesima partita. Spasskij chiese infatti di sospendere la partita, annunciando solo per telefono e molte ore più tardi il proprio abbandono. Nonostante la gioia per l’attesa vittoria, Fischer non digerì mai quella scelta. Quella di Spasskij gli parve infatti una crudele provocazione. Bobby chiese allora a gran voce la presenza al tavolo dell’avversario o quantomeno una formale dichiarazione pubblica di abbandono. Del tutto inutilmente. Fischer cercava l’umiliazione dell’avversario ma non la ottenne. La festa si guastò. Si parlò apertamente di vittoria mutilata e i maligni sorrisero. Ciò nonostante, l’Occidente tirò un sospiro di sollievo. In quella perenne “guerra fredda” anche lo sport era terreno di scontro ideologico e la potenza si misurava non solo sui muscoli e sul numero delle testate nucleari o dei missili Cruiser ma anche su discipline popolari come basket e scacchi. La vittoria di Fischer sul russo Spasskij divenne perciò una vittoria degli Stati Uniti sul “regno del male” e così venne solennemente celebrata. Bobby divenne un idolo.

Un talento allevato a paranoie e sospetti

Quel successo fu in realtà tutto di Bobby, ossessionato e disadattato talento della scacchiera, preda permanente di paranoie, sospetti e di un vastissimo catalogo di stramberie. Fischer era infatti tormentato da alcune bizzarre e ricorrenti manie, dalla balzana idea di smontare ogni sedia su cui sedeva alla pretesa di giocare a porte chiuse, da un florilegio di singolari teorie complottistiche meta-aliene sino – autentica perla finale – ad una scomposta lista di “42 irrinunciabili condizioni”, tra cui la modifica delle stesse regole di base, che compromisero il già fragile favore della federazione internazionale. Fu proprio questa stravagante lista a fargli perdere il titolo in favore di Karpov tre anni più tardi. Offeso infatti dal rifiuto di accogliere quel catalogo di stravaganti e incomprensibili richieste, Fischer decise polemicamente di non sedersi nemmeno al tavolo di gioco uscendo ingloriosamente di scena.

La rivincità con Spasskij

Le cose precipitarono. Fischer si perse nei suoi schemi e attraversò una profonda depressione. Per lunghi anni Bobby rimase da solo con scomodi compagni di viaggio, con la paranoia, l’ossessione di perdere e una grave forma della sindrome di Asperger che lo tormentava sin dalla nascita. Scomparve sino al 1992, quando menti eccelse pensarono di rispolverare il veleno di quel match per spargerlo nel posto più scottante dello scacchiere mondiale. Bobby accettò la sfida e tornò a giocare con Spasskij “la rivincita del XX secolo” nella ex-Jugoslavia, al centro della polveriera, nel bel mezzo del tragico conflitto balcanico. Ancora una volta Fischer sfidò le federazioni e il governo statunitense, ignorando le ferme richieste del suo paese e violando il rigidissimo embargo disposto dall’Onu. Avrebbe vinto ancora, ma il tutto sarebbe sembrato solo una lugubre rimpatriata, poco più di una triste parodia.

Una lunga fuga

A seguito delle accuse e delle polemiche prese di posizione, Fischer non potè più fare ritorno negli USA e cominciò quindi a girovagare nel Far East. L’Interpol non smise mai di cercarlo. Alla fine lo arrestò in Giappone dieci anni più tardi, nel 2004, e solo la concessione in extremis dell’asilo politico da parte dell’Islanda lo salvò da una lunga pena detentiva. Morirà quattro anni più tardi dimenticato dal mondo e alla mercé dei suoi fantasmi. Sino all’ultimo dei suoi giorni Bobby è rimasto una persona enigmatica e controversa, problematica e fuori dal comune. Faticava a tenere a bada il futuro ed anche per questo viveva nel passato, gestendo un’infinito magazzino di memoria. Aveva impressionanti capacità mnemoniche grazie alle quali riusciva a ricordare e catalogare le mosse di interi match ripetendo lunghi discorsi in lingue sconosciute solo sulla base di fonemi e assonanze. Fischer abitava una dimensione diversa ed aliena ad ogni contesto. La sua esistenza divenne così un’eterna partita contro se stesso e i suoi voraci demoni, contro logica e prevedibilità. Dopo Bobby nulla fu più come prima. Fischer stravolse tattiche, brevettò varianti di gioco, inventò nuovi pezzi e diede anche un nuovo, nobile e geometrico contenuto alla parola follia. Secondo Paolo Maurensig “nella storia degli scacchi, sicuramente non c’è stato campione più detestato e al contempo amato di Bobby Fischer. Detestato dai suoi avversari, che a stento sopportavano i suoi capricci, amato dagli appassionati del gioco per le sue pirotecniche partite.”